E’ sfruttamento del lavoro, la non osservanza delle leggi in materia di sicurezza e salute dei lavoratori

La Legge di conversione che ha modificato il DL 13 agosto 2011, n. 138, ha introdotto al Capo III (Dei delitti contro la libertà individuale) alla Sezione I (Dei delitti contro la personalità individuale), del Codice Penale, l’articolo 603-bis C.P.  in materia di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”.Il nuovo articolo, finalizzato alla repressione dei fenomeni di sfruttamento del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni , in linea con l’ articolo 41 della Costituzione Italiana che fonda i principi fondamentali del lavoro nella libertà, la sicurezza e la dignità dell’uomo,   identifica in modo inequivocabile, le cause imputabili alla condizione di sfruttamento del lavoratore qualora vengano a determinarsi  una delle seguenti circostanze:

1) la sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;
2) la sistematica violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;
3) la sussistenza di violazioni della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l’incolumità personale;
4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative particolarmente degradanti.

Nello specifico, i punti 3) e 4) amplificano in modo palese le responsabilità penali del datore di lavoro, destinatario dell’obbligo giuridico di garantire l’incolumità dei propri dipendenti attraverso la prevenzione antinfortunistica. Ai fini della responsabilità del datore di lavoro in violazione delle norme antinfortunistiche, la giurisprudenza ha già chiarito che per l’addebito di colpa, non occorre la violazione di norme specifiche ai sensi del D.Lgs.81/08, ma semplicemente del disposto art. 2087 C.C. che dispone a carico all’imprenditore di adottare nell’esercizio delle imprese le misure che secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori (Cass. Penale sez. IV 04 luglio 2006 n. 32286). La violazione dell’art. 2087 c.c., che impone al D.L. di garantire un ambiente di lavoro sicuro, integra l’aggravante prevista dal punto 3) che definisce tale violazione al pari della condizione di sfruttamento dei lavoratori qualora si ravvisa la violazione della normativa in materia di sicurezza  tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l’incolumità personale. La responsabilità che si prefigura in questo tipo di violazione  potrebbe coinvolgere la responsabilità amministrativa delle imprese ai sensi e per gli effetti dell’ ormai noto  D.Lgs. 231/01 s.m.i. che stabilisce che in caso di incidente sul lavoro, in violazione delle norme antinfortunistiche, costituisce reato perseguibile penalmente ai sensi dell’art. 589 e 590 del c.p. con sanzioni interdittive nel caso di condanne. Il D. Lgs. 231 dell’ 8 giugno 2001 relativo alla Disciplina delle responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica è significativo in quanto coinvolge nelle sanzioni il patrimonio delle aziende, intervenendo direttamente sugli interessi economici dei soci che vengono così direttamente coinvolti. Nello specifico  i punti 1),2),3) e 4), qualora accertati potrebbero essere riconducibili all’art. 5 D.Lgs. 231/01 in quanto reati commessi nell’interesse  ed a vantaggio dell’azienda che dallo sfruttamento dei lavoratori ricava una  indebita ricchezza. Il mancato apprestamento di un dispositivo di sicurezza idoneo a salvaguardare la salute e la sicurezza dei lavoratori comporta l’omissione colposa da parte del datore di lavoro che contravvenendo all’obbligo di tutelare i propri lavoratori  esponendosi  alle sanzioni previste da all’art. 437 del c.p. e dell’art.451 c.p.

Le norme in materia antinfortunistica costituiscono un punto di forza per dimostrare l’assenza della colpa da parte del datore di lavoro qualora si verifichi un evento dannoso. In effetti, l’onere della prova nel dimostrare che è stato fatto tutto il possibile per evitare l’accadimento lesivo è in capo al datore di lavoro, che nel caso in cui, abbia applicato correttamente le norme specifiche, possiede una serie di elementi oggettivi per provare la sua imputabilità.

Ai fini delle responsabilità amministrative, ai sensi dell’art. 6 del D.Lgs. 231/01, il reato non sussiste se l’ente o il Datore di Lavoro possono dimostrare che:
– L’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi così come previsto dall’art. 30 del D.Lgs. 81/08 s.m.i. ;
– Il reato è stato commesso eludendo i modelli di organizzazione e gestione;
– Il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei sistemi di sicurezza è stato affidato a un organismo individuato dall’ente, dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo;
– Non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo a cui è stato affidato il  compito di controllo del S.G.S.L.

L’inserimento del reato, che identifica lo sfruttamento del lavoro con la violazione delle normative antinfortunistiche, rende concreto il rischio delle sanzioni interdittive, che forse più delle sanzioni pecuniarie possono mettere in crisi un’azienda.

AGGIORNAMENTO 
E’ in vigore dal 4 novembre la Legge sul Caporalato, Legge 29 ottobre 2016, n. 199 pubblicata  “Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo”. 
La legge prevede specifiche misure di supporto dei lavoratori stagionali in agricoltura ed introduce per il datore di lavoro inadempiente sanzioni per ogni lavoratore tenuto illecitamente. Sanzioni particolarmente ampliate per le violazioni delle condizioni di lavoro e soggiorno e dei limiti giornalieri di lavoro e riposo.

Il nuovo art. 603 bis 
La legge mira, fondamentalmente ad una riscrittura delle leggi del Caporalato ed alla modifica dell’art. 603-bis (Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro) che punisce con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 500 a 1.000 euro per ogni lavoratore reclutato. 
Sanziona il datore di lavoro che utilizza, assume o impiega manodopera reclutata anche mediante l’attività di intermediazione (ovvero anche – ma non necessariamente – con l’utilizzo di caporalato) sfruttando i lavoratori ed approfittando del loro stato di bisogno, tutti aspetti facenti parte della condotta illecita del caporale, definito come colui che recluta manodopera per impiegarla presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno (è soppresso il riferimento allo stato di “necessità”).

arch. Antonio D’Avanzo

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