Finalmente una sentenza dalla Corte di Cassazione che rende giustizia al ruolo del coordinatore per la sicurezza nei cantieri temporanei e mobili e che rivede il ruolo del coordinatore in fase di esecuzione non va confuso con quello del datore di lavoro, spettando al coordinatore la sola vigilanza delle lavorazioni che comportano rischio interferenziale ma non anche il puntuale controllo delle singole attività lavorative, demandato, invece, al datore di lavoro, al dirigente ed in particolare al preposto.
La sentenza in questione è la n. 27165 del 4 luglio 2016, che accoglie la sentenza emessa in parziale riforma dalla Corte di Appello di Firenze avverso la sentenza di primo grado del Tribunale di Firenze del 9.3.2010 che all’esito del giudizio abbreviato, condannava, il coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, colpevole del reato di omicidio colposo plurimo alla pena di due anni di reclusione per l’infortunio occorso ad un lavoratore a seguito del cedimento di una passerella durante la fase di ancoraggio nei lavori della variante di valico della autostrada A1 Firenze-Bologna Lotto 13.
L’imputazione vedeva il coordinatore per l’esecuzione rinviato a giudizio per rispondere del delitto di cui agli artt. 113 , 41 e 589 I, II, III e IV comma in relazione all’art. 590 III comma del Codice Penale e dell’art. 92 I comma lett. a) d.lgs. 81/08, per non aver verificato durante la realizzazione dell’opera, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l’applicazione, da parte dell’impresa appaltatrice e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e coordinamento di cui all’art. 100 e la corretta applicazione delle procedure di lavoro, in particolare non controllando l’effettiva realizzazione degli obblighi informativi e formativi da parte del datore di lavoro nei confronti dei lavoratori che componevano la squadra addetta alla costruzione dell’opera edilizia e per la colpa conseguente l’inosservanza delle disposizioni di legge che cagionavano la morte di R.C., G.M. e G.C. che decedevano per gravissimo trauma polifratturativo polidistrettuale dopo essere precipitati nel vuoto da un’altezza di circa 40 metri a seguito dello sganciamento della pedana sulla quale si trovavano.
Le indagini hanno permesso di appurare che nessuno dei lavoratori che componevano quel giorno la squadra e neppure gli altri lavoratori impegnati nelle operazioni aveva seguito corsi di formazione che fossero attinenti al montaggio e all’uso delle pedane a sbalzo per la costruzione dei piloni. In sostanza nessuno aveva specifica esP.enza e competenza, necessaria in un’attività così rischiosa, trattandosi di lavorare a circa 40 m. di altezza.
La causa ‘iniziale’ dell’infortunio andava dunque individuata nelle gravissime carenze organizzative e di prevenzione degli infortuni imputabili all’impresa appaltatrice: carenze attinenti sia alla valutazione del rischio ed all’analisi delle procedure di montaggio, sia alla formazione e informazione professionale dei lavoratori.
Tali carenze avrebbero determinato – secondo quanto si legge in sentenza – una pressoché sistematica inosservanza delle corrette modalità di montaggio previste dal produttore dei sistemi di ancoraggio.
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